MALECKIJ ANTONIJ IOSIFOVIČ (1861-1935)

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vescovo cattolico confessore

Antonij Maleckij nasce il 17 aprile 1861 a Pietroburgo da famiglia nobile di origine polacca, secondogenito di Vladislav, capitano dell’esercito imperiale russo. Studia al ginnasio della comunità luterana presso la chiesa di Sant’Anna.
Terminata la scuola, per volere del padre, entra nel corpo dei Cadetti. Ma la carriera d’ufficiale non lo attrae. A 19 anni entra al seminario cattolico di Pietroburgo. Nel 1884 viene ordinato sacerdote dal metropolita di Mogilev, Aleksandr Gintovt, che lo nomina vicario della parrocchia di Sant’Antonio a Vitebsk (Bielorussia). Dopo un anno è nominato vicario della cattedrale di Minsk.
Padre Antonij si dedica soprattutto ai poveri, prima in Bielorussia, poi in Lettonia e, infine, a Pietroburgo. Qui, impressionato dalla tristissima condizione delle famiglie povere, decide di consacrare la propria vita ai ragazzi diseredati. Si reca perciò a Torino, per imparare il metodo educativo dei salesiani. Tornato a Pietroburgo affitta un locale e, con l’aiuto di alcuni amici, organizza un asilo per ragazzi, sempre più numerosi. Nel frattempo, sorgono anche laboratori di falegnameria e legatoria.
«Sarei ben lieto – scrive nel suo diario padre Antonij – di accogliere tutti in questo unico istituto cattolico. Il nostro sogno sarebbe di raggiungere un grado di sviluppo come a Torino. Con chi occorre lavorare in special modo, in chi seminare i fondamenti della fede e della morale se non fra i giovani?». Col tempo la vecchia residenza non è più sufficiente: nel 1896 padre Antonij, in collaborazione con la Società di beneficenza della parrocchia di Santa Caterina, compera una nuova casa. Dopo breve tempo viene costruita una cappella dedicata al Sacratissimo cuore di Maria. Ai laboratori già esistenti si aggiungono quelli di meccanica, fucinatura e fonderia.
Dai materiali di archivio si apprende che in questo istituto i figli delle famiglie povere polacche, estoni e tedesche imparano non soltanto un mestiere, ma ricevevano anche un’ottima formazione. Oltre alle usuali discipline, studiano latino, storia antica, canto, disegno e perfino danza. Grazie a padre Antonij, molti figli di famiglie povere riescono a frequentare l’università.
I poveri di Pietroburgo amano molto padre Antonij. Incontrandolo per strada, quasi tutti, indipendentemente dalla confessione a cui appartengono, lo salutano levandosi il cappello. Nessuno di quelli che incontra si rifiuta di aiutarlo. Secondo il ricordo di chi lo ha conosciuto, «egli non temeva nessuno e bussava alla porta di tutti». Nel 1905 riesce a raccogliere il denaro necessario per acquistare un terreno nel bosco, dove costruisce una colonia per i bambini di salute cagionevole.
Nel 1912, grazie all’aiuto straordinario di Michail Kerbedz, viene costruita una grande casa di cinque piani, sempre per la formazione dei giovani.
Ma la rivoluzione bolscevica distrugge ciò che con tanta passione ha costruito padre Antonij. Tutto viene nazionalizzato e le istituzioni educative dichiarate fuori legge.
Dopo alcuni anni inizia il calvario di padre Antonij. Nel 1921 l’arcivescovo Cepljak lo nomina rettore del seminario clandestino che egli reggerà fino al suo primo arresto del 1923. Nel marzo 1923 padre Antonij, assieme ad altri 14 sacerdoti cattolici, riceve l’ordine di presentarsi a Mosca. Viene accusato di attività controrivoluzionarie nell’ambito dell’inchiesta «Cepljak-Budkevich» e condannato a tre anni di reclusione. Grazie alla vasta campagna di proteste sollevata nei paesi europei, molti condannati vengono liberati prima dello scadere della pena. L’arcivescovo Cepljak, la cui condanna a morte è commutata in 10 anni di prigione, viene allontanato dall’URSS. Padre Antonij viene liberato nel 1925. Ritornato a Pietroburgo, è nominato parroco di Santa Caterina e vicario generale della diocesi di Mogilev.
A causa della persecuzione contro la chiesa cattolica in URSS, la Santa sede è costretta a riorganizzare la struttura della direzione ecclesiastica: al posto dei decanati vengono istituite cinque amministrazioni apostoliche, una delle quali, quella di Leningrado, viene affidata a padre Maleckij. Il 13 agosto 1926 monsignor Michel d’Herbigny ordina segretamente vescovo padre Antonij e gli consegna una rilevante somma di denaro per le necessità dei sacerdoti e soprattutto per organizzare il seminario clandestino. Nell’ottobre 1926 si apre il seminario, con otto studenti, ma dopo pochi mesi viene scoperto e liquidato dai sovietici.
«Sono stato consacrato vescovo – scriverà Mons. Antonij – in tempi terribili. È triste pensare che ora a Piter (Leningrado) non c’è nessuno che ci possa aiutare. Uno mi è rimasto, Gesù Cristo». Certo non sono tempi facili. Hanno arrestato tutti i sacerdoti ed è rimasto solo il vescovo sessantacinquenne, costretto a celebrare la Messa in una chiesa e correre subito dopo in un'altra per assicurare a tutti il servizio liturgico.
Nel 1927, per non provocare reazioni all’estero con un processo pubblico, il partito comunista propone al vescovo di andare di propria volontà al confino, altrimenti l’avrebbero costretto con la forza. Nel maggio seguente lo costringono a firmare un documento in cui accetta di andare in esilio di propria volontà. Il vescovo si trasferisce segretamente ad Archangel’sk. Preoccupati per la sua improvvisa scomparsa, i fedeli inoltrano alle autorità cittadine un documento dove si proclama l’innocenza del proprio pastore e se ne chiede l’immediata liberazione. Le autorità rispondono che «Il cittadino Maleckij non è stato arrestato e neppure esiliato». La notizia giunge al vescovo il quale, a proprio rischio, decide di ritornare dall’esilio.
A Leningrado non cessa di essere sottoposto a minacce e perquisizioni, ma ciò non ferma la sua attività. Riorganizza il seminario clandestino e ordina due sacerdoti, sempre clandestinamente. Nel febbraio 1929, prevedendo un prossimo arresto, con il permesso del Vaticano consacra segretamente vescovo padre Teofil Matuljanis e lo nomina suo vicario.
Il vescovo Antonij viene nuovamente arrestato nel febbraio del 1930. Accusato di attività antisovietica e di tenere rapporti con le alte gerarchie ecclesiastiche all’estero, è condannato a tre anni di confino nella Siberia Orientale. Dall’esilio scrive: «Vivendo in un’izba fra monti altissimi, coperti di boscaglia, dove gli orsi si muovono lungo i bellissimi argini del fiume Angara, c’è la possibilità di entrare in rapporto con Dio in assoluta solitudine. Desideravo, al termine della mia vita, ritirarmi nel silenzio di un monastero. Ho trovato quest’angolo, ma molto lontano, lontano da tutti, anche dal servizio parrocchiale tanto caro al mio spirito. Non c’è qui neppure un cattolico … Sia fatta la volontà di Dio. Vivo come se fossi in monastero».
L’esperienza dell’esilio ha il sopravvento sulle forze del vescovo, che si ammala gravemente.
Nel febbraio 1934, l’ambasciata polacca ottiene che il vescovo possa lasciare l’URSS. Per giungere alla stazione di Irkutsk, monsignor Maleckij deve fare parte del viaggio a piedi. Un collaboratore dell’ambasciata polacca lo trova alla stazione stremato. Giunto a Leningrado, monsignor Antonij si rifiuta categoricamente di abbandonare la città e il suo gregge. Riescono a convincerlo dicendogli che è necessario far sapere di persona al Santo Padre la situazione in cui si trova la Russia.
A Varsavia il vescovo viene trasportato direttamente dal vagone all’ospedale, dove muore il 17 gennaio 1935. Il suo corpo viene sepolto solennemente nella cattedrale di San Giovanni a Varsavia. Nel 1961 viene traslato nella cripta dei vescovi ausiliari di Varsavia, al cimitero Powązki.
Nel 2000 ha inizio il processo di beatificazione del vescovo Antonij Maleckij.