GAFIČ STEFAN IOSIFOVIČ
(1921-2004) |
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sacerdote greco-cattolico |
Padre Stefan nasce il 10 giugno 1921 nella famiglia
di un falegname, nel villaggio di Butnovce (Slovacchia). Terminati gli
studi al ginnasio di Užgorod, entra al seminario diocesano della stessa
città e il 14 giugno 1946 viene ordinato sacerdote dal vescovo greco-cattolico
Teodor Romža. È nominato parroco del villaggio di Vel’šinki, dove rimane
fino al 1949, quando le autorità comuniste danno inizio alla campagna
per eliminare la Chiesa greco-cattolica, costringendo i sacerdoti a «unirsi
volontariamente» alla Chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca. Così
descrive l’accaduto lo stesso padre Stefan:
«Il 10 marzo 1949, dopo aver celebrato la Divina Liturgia, mi avviavo
dalla chiesa alla casa parrocchiale. Qui mi aspettavano già tre ufficiali
dei servizi di sicurezza di Stato della sezione regionale di Perečinsk,
con il pretesto di perquisire la casa nel caso nascondessi delle armi.
Risposi con una risata a queste falsità. Dopo avermi sequestrato il passaporto,
senza fare nessuna perquisizione, perché ero povero in canna e non vi
era nulla da perquisire, mi ordinarono di seguirli a Perečin, dal loro
capo. Con le pistole puntate, mi fecero attraversare tutto il villaggio.
Per prima cosa, il capo della sicurezza mi chiese se ero disposto a passare
alla Chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca. Mi pose questa domanda
più di una volta. Quando s’accorse che rifiutavo categoricamente, diede
ordine di condurmi a Užgorod. Qui mi fecero di nuovo la stessa domanda.
Al mio rifiuto categorico di collaborare con loro, mi dichiararono ufficialmente
in arresto. Il giudice istruttore, non sapendo per cosa condannarmi, scrisse:
«svolgeva propaganda antisovietica», pur non avendo alcuna prova, né testimoni
che confermassero il fatto. Durante il processo il presidente della Corte,
Šolom, mi domandò per l’ultima volta se ero disposto a diventare sacerdote
ortodosso. Era chiaro che, se avessi accettato, il mio caso sarebbe stato
chiuso e mi avrebbero lasciato tornare a casa».
Il 18 aprile 1949 padre Stefan viene condannato a 25 anni di lager e alla
confisca dei beni. Il 15 maggio dalla prigione di Užgorod viene condotto
al lager assieme ai sacerdoti greco-cattolici Laslo Puškaš, Ivan Karpinc,
Adal’bert Grabar, Iosif Kampov, Michail Terban e i scerdoti cattolici
di rito latino Avgustin Gorvat e Kal’man Bartfaj. Dopo un lungo tragitto,
padre Stepan arriva a destinazione il 15 settembre 1949 nei lager del
Kazachstan, dove lavora nelle miniere sotterranee per l’estrazione del
rame.
Grazie a un’amnistia, padre Stefan ritorna in libertà il 6 febbraio 1956,
ma non ottiene il permesso di esercitare il ministero sacerdotale, ed
è costretto a trovare altre occupazioni per mantenersi. Tuttavia non dimentica
la sua vocazione di sacerdote, e partecipa attivamente all’attività clandestina
della Chiesa. La sua attività illegale viene controllata costantemente
dai funzionari di partito.
Prima ancora della legalizzazione ufficiale della Chiesa greco-cattolica,
padre Stefan anticipa i tempi e celebra alla luce del sole: non nelle
chiese, che sono state tutte affidate agli ortodossi, ma nei cimiteri.
Dopo la legalizzazione della Chiesa greco-cattolica nel novembre 1989,
partecipa attivamente alla rinascita delle comunità e all’apertura delle
parrocchie, il che avviene non senza difficoltà. Il 15 marzo 1992, mentre
padre Stefan sta celebrando con i fedeli del villaggio di Voročevo accanto
alla chiesa che era stata la sua parrocchia fino all’arresto ed ora è
ufficiata da sacerdoti ortodossi, alcuni ortodossi assalgono e picchiano
i fedeli cattolici. A Padre Stefan rompono la clavicola destra.
Padre Stefan Gafič muore il 27 gennaio 2004. Era stato riabilitato l’11
ottobre 1991.
La moglie di padre Stefan, Marija Jur’evna Gaze, insegnante, dopo l’arresto
del marito, come di norma, viene licenziata in quanto «non adeguata ai
principi sovietici dell’educazione popolare». Rimane sola con tre figli,
priva di ogni avere, e deve mantenere la famiglia con lavori saltuari
e sottopagati.
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