RECENSIONI

Vasilij Grossman
Il bene sia con voi!
Adelphi, 2011 • pp. 253 • Euro 19,00

A eccezione de Il vecchio maestro, del 1943, tutti i racconti di questa raccolta sono stati scritti fra il ‘55 e il ‘63, alcuni nel ‘60, anno in cui il KGB confiscò a Grossman il dattiloscritto del suo capolavoro Vita e Destino. Ambientate nei contesti più diversi, a volte autobiografiche, a volte vissute da personaggi storici, o fittizi ma molto verosimili, le storie qui narrate sono attraversate da un unico filo rosso che è anche l’anima di Vita e Destino: la constatazione che a muovere la storia sono le stesse forze che muovono il cuore dell’uomo.
In questi racconti Grossman partecipa pieno di stupore «a uno spettacolo splendido e solenne, un atto unico che si chiama “la vita”» e con lo spirito di osservazione e di immedesimazione che gli è proprio, ci dà dell’uomo un quadro vero perché integrale.
L’uomo segnato da un’inquietudine a cui non può fuggire: «Il silenzio non salva dallo scricchiolio stridulo dell’angoscia, non basta la frescura della montagna a spegnere il catrame che arde le viscere,… per richiudere la breccia sanguinante che si ha dentro», osserva lo scrittore di fronte al panorama armonioso e splendido di Diližan, antica città incastonata fra le cime innevate dell’Armenia. Paradossalmente la bellezza inaspettata, invece di placare l’animo ne esaspera dolorosamente la sete di infinito e di immortalità, tanto da fargli desiderare che «tutto torni a essere abitudine, cosa nota, e non ci sia più traccia di quella novità che spezza le ossa e ti entra nel sangue…». Dell’immortalità a cui l’uomo ambisce, Grossman parla in un altro degli scritti qui raccolti, La Madonna Sistina, come di quell’«umano nell’uomo» il quale, non sottraendosi al proprio destino e affrontandolo coscientemente, permette che esista la storia e rende se stesso diverso dagli animali e dal resto della creazione. Ne diventa, anzi, la coscienza. Lo scrittore aveva sviluppato questi pensieri anche in Vita e destino, scrivendo che in ogni singolo uomo vive «… Un Universo che somiglia incredibilmente all’Universo fuori dell’uomo. E che somiglia incredibilmente all’Universo che continua a riflettersi in milioni di teste... Un Universo incredibile, perché capace di distinguere il rumore del suo oceano, l’odore dei suoi fiori, il fruscio delle sue foglie, le venature dei suoi graniti e la tristezza dei suoi campi in autunno da ogni altro Universo fra quanti sono esistiti ed esistono in ogni uomo e dall’Universo eterno al di fuori dell’uomo. La sua irripetibilità, la sua unicità sono l’anima di ogni singola vita, sono la libertà. Il riflesso dell’Universo nella coscienza umana è alla base della forza dell’uomo, ma la vita diventa felicità, libertà, valore supremo solo quando l’uomo esiste come mondo che mai potrà ripetersi nell’infinità del tempo».
L’uomo a cui in fondo, più che i libri, la saggezza, i successi e gli insuccessi della vita, interessa, come accade a Boris Rosental’ nel racconto Il vecchio maestro, «un prodigio che non era ancora riuscito a spiegare: l’amore», qualcuno che ci dica: «Vada a dormire, le fa male stare al tavolo fino a tarda notte». Un desiderio che non può rimanere inappagato per chi lo custodisce con tutto il cuore. Così Rosental’, come Sonja Levinton in Vita e Destino, ne farà esperienza un istante prima di venire ucciso dai tedeschi, quando la piccola Katja gli dice: «Maestro, non guardare da quella parte, se no ti spaventi», e come una madre gli copre gli occhi con le manine.
Per Grossman la vita è «miracolo di libertà» e l’uomo è irriducibile a qualsiasi stereotipo o automatismo. A muovere la storia non sono tanto i potenti, a loro volta risucchiati dal vortice della storia stessa, quanto il «cuore vivo di un uomo» e il suo «mistero». Nel racconto autobiografico Fosforo chi cambia veramente in meglio la vita del giovane Grossman non sono i compagni dall’intelletto fine, autori di importanti scoperte scientifiche, ma il semplice amico Krugljak che «non ha avuto fortuna nella vita» ma ha un cuore capace di amare e per questo anche in lager è in grado di stare in piedi, è padrone della storia propria e altrui.
Quello di cui parla Grossman è un uomo spesso meschino, che desta compassione con i suoi limiti e le sue contraddizioni, come constatiamo praticamente in tutti i racconti della raccolta, ma che viene perdonato e abbracciato così come è: «… nella tela più folle del soggettivista più astratto che partorisce un assurdo groviglio di linee, punti e macchie c’è più realismo che nei mondi armoniosi inventati su commissione. … Non esistono mondi perfetti».
Grossman ci dice che l’uomo con tutta la sua miseria è fatto per l’eternità e a questa è destinato, non per suo merito, ma perché è stato creato così: «Mi scopro a pensare che il mondo delle contraddizioni, delle lungaggini, dei refusi, dei deserti senz’acqua, dei comandamenti del lager, degli sciocchi, il mondo delle vette accese dalla luce del sole calante è bellissimo. Se non fosse così bello chi muore non proverebbe una tale, spaventosa e incomparabile angoscia. Per questo mi commuovo, sono felice e piango quando leggo e medito sulle opere di coloro che uniscono, che legano indissolubilmente l’amore e la verità di un mondo eterno alla verità del proprio “io” mortale».

(D. Boero)


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