RECENSIONI

Varlam Šalamov (a cura di F. Bigazzi, S. Rapetti e I. Sirotinskaja)
Alcune mie vite. Documenti segreti e racconti inediti
Mondadori, 2010 • pp. 304 • Euro 25,00

«Col titolo Alcune mie vite. Documenti segreti e racconti inediti è uscito recentemente un denso volume di e su Varlam Šalamov (1907-1982) che presenta alcuni importanti racconti autobiografici tratti dai Vospominanija (Ricordi) intercalati ai documenti dei fascicoli giudiziari dei tre processi che nel 1929, 1937 e 1943 sancirono la sua sorte di «controrivoluzionario» con varie condanne per complessivi quasi 20 anni tra confino e «campo di lavoro correzionale»: Šalamov ne trascorse 14 nel «crematorio bianco» della Kolyma (Siberia subartica).
Parte dei documenti giudiziari (quelli del processo del 1943) sono stati reperiti, quando gli archivi sovietici si aprirono parzialmente, dal giornalista Francesco Bigazzi, il quale li ha consegnati a Irina Sirotinskaja, l’erede letteraria di Šalamov. Ai due si è unito, nella progettazione e realizzazione del libro, il traduttore Sergio Rapetti, cui si deve anche l’esauriente e pregevole Introduzione a Varlam Šalamov.
E se nei testi autobiografici presentati nel libro troviamo pagine di grande valore letterario, anche i documenti giudiziari si presentano di estremo interesse e novità: essi ci restituiscono infatti, con la loro scansione temporale nei decenni Venti-Trenta-Quaranta e oltre, uno spaccato di rara efficacia del funzionamento della macchina repressiva comunista. Un processo dopo l’altro, l’apparato inquisitorio si fa più elaborato: dalla trojka extragiudiziale che indaga, processa e condanna senza richiamarsi agli articoli del Codice penale, ma a un siglario interno, si passa a procedure che prevedono formalmente il riferimento al codice penale, deferimento a giudizio e collegio giudicante, dibattimento, escussione dei testimoni, confronti… Sono però esclusi i testimoni a difesa, non esistono avvocati, qualche volta si fa a meno dello stesso imputato. Šalamov è stato condannato tre volte, sostanzialmente con la stessa accusa: attività controrivoluzionaria o antisovietica. Nel 1956 le prime due condanne vengono annullate dal Collegio militare del Tribunale supremo dell’URSS e nel 2000 an­che la terza, stavolta dalla Procura generale della Federazione russa, la nuova Russia postsovietica.
Nel giugno 1981 Varlam Šalamov, già gravemente infermo, aveva potuto ricevere dalle mani dell’amica Irina un volume di quasi 900 pagine, in russo ma pubblicato a Londra, che conteneva buona parte dei suoi Racconti di Kolyma. Col volume gli era anche giunta la notizia che il Pen club francese l’aveva insignito del Premio della Libertà. Il «poeta del Gulag», ormai cieco e sfinito dopo aver vissuto con coraggio e visto con rara perspicacia orrori indicibili, che aveva però saputo restituire in voci e presenze di un’opera che resterà nella grande letteratura, quel giorno, dunque, si sarà forse sentito in qualche modo ripagato del sacrificio della vita.
Mai però avrebbe potuto immaginare la fama e il prestigio che a distanza di quasi trent’anni accompagnano lui e la sua opera. Gli ormai famosi racconti, ma anche le poesie e gli altri scritti vengono continuamente riproposti in Russia, dove lo scrittore gode ormai di una notorietà non inferiore a quella del premio Nobel Aleksandr Solženicyn. Lo stesso interesse si registra anche all’estero. In particolare in Italia è uscita nel 1999 la prima edizione completa in una lingua occidentale dei 145 Racconti di Kolyma, pubblicata da Einaudi e più volte ristampata e nel 2006 una scelta significativa delle poesie: Il destino del poeta, a cura di Angela Dioletta Siclari, «La Casa di Matriona» 2006. E lettori, saggisti e critici interessati a quell’«universo concentrazionario» che ha così tragicamente segnato il ’900 non possono più prescindere dal nome e dall’alta lezione morale e letteraria di Varlam Šalamov.

(G. Codevilla)


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