RECENSIONI

Ivan Cistjakov
Diario di un guardiano del Gulag
Bruno Mondadori, 2012 • pp. 234 • Euro 18,00

Di fronte a questo libro non si può fare a meno di osservare, come per altro hanno fatto tutti, che è rarissimo imbattersi in una testimonianza del genere, cioè nelle memorie non di un detenuto del lager ma di un guardiano, uno che stava «dall’altra parte della barricata» e che rappresentava la forza punitiva dello Stato. I due quaderni che contengono questo diario così unico sono emersi miracolosamente dalle carte lasciate da un’anziana signora defunta, ed oggi sono custoditi dall’Associazione Memorial di Mosca; ormai nessuno potrà più ricostruire i vari passaggi, di mano in mano, che il diario ha compiuto prima di arrivare alle stampe, di certo sarà stato un itinerario molto segreto, perché un documento del genere era pericolosissimo, ben pochi avrebbero avuto il coraggio di lasciare, o di conservare, simili testimonianze scritte.
Se ancora sappiamo poco della vita e dei sentimenti dei detenuti dei lager sovietici, gli zek come si diceva in gergo, non sappiamo assolutamente nulla dei loro sorveglianti, eppure sono stati una schiera considerevole, oltre 360.000 in un dato momento alla vigilia della guerra, immaginiamo quanti furono nell’intera parabola di esistenza dei campi. Sembrerebbe quasi ingiusto lasciare spazio e voce ai «rappresentanti del male», ma la lettura di queste pagine aiuta a comprendere in modo più ampio tutta la tragedia di questo paese, di un regime dove la volontà dello Stato macinava con la stessa implacabilità sia le vittime che gli esecutori. Scopriamo un mondo interiore di tormento e di angoscia, dubbi, senso di impotenza, noia, disperazione; un mondo plumbeo e senza speranza che poco si discosta da quello dei detenuti: anche le guardie sono dei numeri senza alcun diritto, hanno mansioni impossibili e un solo obiettivo, quello di andarsene al più presto, ma neanche loro possono disporre di sé e sentono incombere sulla testa la minaccia della punizione e anche dell’arresto. Forse la disumanizzazione è ancora più devastante là dove la coscienza è ottenebrata, e sicuramente lo era in maggior misura tra le guardie che tra i prigionieri.
L’Ivan Cistjakov autore del diario, a quanto si può ricostruire, era un moscovita di età giovane ma non giovanissima (forse poco oltre i 30), che nell’ottobre del 1935 era stato mobilitato tra le guardie militarizzate del GULag; una decisione che lo sovrastava totalmente, il cui senso gli sfuggiva e contro la quale non poteva fare niente. Così si era visto costretto ad andare in estremo Oriente dove l’amministrazione del GULag stava costruendo per lo Stato la ferrovia Bajkal-Amur, il BAM, un’opera gigantesca che tuttavia non sarebbe stata portata a termine a dispetto dell’enorme disponibilità di manodopera gratuita (i detenuti) e di mezzi. Il cantiere del BAM in quegli anni impiegava 170.000 operai (arriveranno a 200.000) ma era il regno del caos e dell’inefficienza, come si capisce molto bene dalle osservazioni irritate di Cistjakov. Non a caso l’opera sarà portata a termine solo nel 1984, senza bisogno del lavoro coatto.
Dalle note di Cistjakov traspare una coscienza fluttuante, che ha momenti di grande lucidità ed altri di totale appiattimento; a volte è toccato dalla compassione: «a quanti ho allungato la pena», talvolta pensa meschinamente solo a sé. Una fonte di sensazioni diverse è la natura; ci sono dei momenti addirittura lirici, in cui, di fronte alla bellezza straordinaria del paesaggio, Ivan resta colpito e anche la sua scrittura prende le ali. Anche padre Pavel Florenskij, passato brevemente come detenuto nello stesso cantiere un paio di anni prima, aveva osservato nelle lettere a casa che la bellezza di quei luoghi era del tutto speciale. Ma per Ivan sono dei momenti isolati, per la maggior parte del tempo prevalgono in lui i sentimenti negativi: le pagine del diario sono intrise di esasperazione e solitudine. Se all’inizio la sua umanità è ancora «civile» o, come dicono gli ex detenuti, ancora «vegetariana», se usa la logica normale ed ha reazioni di compassione, poco alla volta l’assurdità e la violenza dell’ambiente lo assimilano e l’unica via d’uscita sembra l’egoistica chiusura su di sé. Cistjakov appare un uomo solo (nel diario non parla mai di famiglia, né di letture o altro da cui trarre conforto e direzione), o meglio isolato, atomizzato, senza un contesto di valori certi su cui poggiare le proprie azioni; lui è un cittadino leale e il suo orizzonte rimane quello dello Stato e dell’ideologia, anche se detesta tutta la stupida malvagità che vede attorno. In questa contraddizione la persona umana si trova spaesata e fuori posto. Questo è il fatto che risulta più evidente alla lettura: che la persona di Ivan Cistjakov non ha posto in questo sistema di violenza, anche se lui è un comandante delle guardie e non uno zek; e non arrivando a prenderne coscienza, non gli rimane altro che la disperazione e la tentazione del suicidio (che ritorna più volte nel diario).
Grazie a Francesca Gori che ci ha fatto conoscere la testimonianza di quest’uomo. Di lui sappiamo anche che è stato arrestato nel ’37 ed è morto al fronte nel ’41, ma non sapremo mai con quali pensieri: se con una nuova coscienza o nel buio più assoluto.

(Adriano Dell’Asta)


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