JAVORKA VENDELIN (1882-1966)

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sacerdote cattolico, gesuita

Padre Vendelin è uno dei fondatori del Pontificio Collegio Russicum. Nasce, primo di dieci figli, a Ružomberok-Černovà (Slovacchia). Frequenta la scuola elementare a Sučany, poi studia a Ružomberok e nel 1903 termina il ginnasio a Ostrihome ed entra nella Compagnia di Gesù. Il 14 agosto 1908 pronuncia i voti monastici, dal 1906 al 1909 studia filosofia a Bratislava, dal 1912 teologia a Innsbruck, dove il 15 agosto 1915 viene ordinato sacerdote. Nel 1916 viene chiamato alle armi come cappellano fino alla fine del 1918. Per il suo coraggio e lo spirito di sacrificio nell’aiutare i feriti e i moribondi durante la Prima guerra mondiale, padre Vendelin viene insignito di un’onorificenza.
Tornato dal fronte viene destinato come rettore al Collegio dei gesuiti di Trnava ed è redattore della rivista «Il missionario del Sacro Cuore di Gesù». Dal 1923 lavora a Bratislava e nel 1925 viene mandato a Roma, dove si prepara all’opera missionaria fra i russi. Studia la lingua russa e la Liturgia orientale. Dopo la fondazione del Pontificio Collegio Russicum, l’11 febbraio 1928, padre Vendelin ne è rettore dal 1929 al 1934.
Nel 1934 padre Javorka è a Harbin (Manciuria), impegnato nell’apostolato fra i russi. Celebra in rito bizantino-slavo ed esercita la mansione di Amministratore Apostolico provvisorio, in assenza dell’archimandrita Fabian Abrantovič. Non passa molto tempo e padre Vendelin si ammala gravemente di tifo, al punto di essere in pericolo di morte. Una volta guarito, passa a Shanghai, dove è a capo della missione dei gesuiti fra i russi emigrati; è parroco della chiesa di San Giuseppe e al tempo stesso aiuta il parroco della chiesa San Nicola, padre Nikolaj Alekseev (1869-1962). Nel 1939 ritorna a Roma. Qui la colonia russa conta a quel tempo circa 11.000 persone.
Dal 1941 padre Javorka si trova in Bukovina (Romania), a quel tempo occupata dall’esercito tedesco, durante la Seconda Guerra Mondiale. Dopo l’arrivo dell’Armata rossa padre Javorka viene arrestato il 12 luglio 1945 nella casa dei gesuiti a Černovcy e accusato di spionaggio; nello stesso mese è deportato in URSS, dove il 12 novembre 1945 è condannato a 17 anni di lager. Durante il processo padre Javorka non si riconosce colpevole e rifiuta di fare i nomi di conoscenti ed amici. Per un anno e mezzo lavora in un lager della Moldavia, poi passa al lager di Inta, sul fiume Usa. Qui perde completamente la vista da un occhio. Il 9 gennaio 1954 è trasferito in un lager per invalidi a Pot’ma (Mordovia). Da qui riesce a scrivere una lettera al fratello, che si trova nella città di Žilin (Cecoslovacchia). È questa la prima notizia, ricevuta all’esterno, del fatto che è ancora vivo. Il governo cecoslovacco, per intervento del fratello di Javorka, inoltra domanda alle autorità sovietiche, affinché padre Vendelin venga liberato. Il 21 aprile 1955 il sacerdote raggiunge la Slovacchia, fisicamente distrutto. Trascorre gli ultimi anni della sua vita con la famiglia del fratello, a Praga. Non ama molto parlare degli anni passati in prigionia e nei lager, tuttavia in un colloquio confidenziale racconta: «All’inizio piangevo, ma poi mi dicevo: non serve a niente. Per tutto siano rese grazie a Dio. Al mattino dicevo: “l’offerta continua” e il giorno dopo ripetevo la stessa cosa e così durante i dieci anni di lager. Celebravo la Santa Messa dopo mezzanotte, quando tutti dormivano. Sedevo sul letto e sulle mie ginocchia, come su un piccolo altare, celebravo l’Eucarestia. Fra i detenuti erano pochi a saperlo; la maggior parte di loro dormiva sui tavolacci». Molti detenuti, fra cui anche sacerdoti, morirono fra le sue braccia.
Padre Vendelin Javorka muore il 24 marzo 1966, la vigilia dell’Annunciazione, pronunciando le parole: «Signore, nelle tue mani affido il mio spirito. Signore, abbi pietà di me». È sepolto nel cimitero di Praga.
L’11 gennaio 1990 è stato «totalmente riabilitato» dal governo sovietico.