BUKOVINSKIJ VLADISLAV-ANTONIJ KIPRIANOVIČ (1904-1974)

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sacerdote cattolico

Padre Vladislav nasce il 22 dicembre 1904 a Berdičev, regione di Kiev, nella famiglia di un agronomo; frequenta il ginnasio russo di Kiev e, in seguito, il ginnasio polacco di Ploskirov. Nel 1920 la famiglia si trasferisce in Polonia. Nel 1921 si iscrive alla facoltà di diritto dell’Università di Cracovia e, dopo la laurea, nel 1926 entra al seminario diocesano di Cracovia. Nel 1931 è ordinato sacerdote dal metropolita di Cracovia Adam Sapieha. Insegna sociologia al seminario di Luck e nello stesso tempo viene nominato segretario dell’Azione Cattolica. Nel 1939 è nominato parroco della cattedrale di Luck.
Con l’avvento del potere sovietico nel 1939, padre Vladislav assiste i polacchi deportati, che arrivano alla stazione di Luck per essere mandati al confino in Siberia o in Kazachstan. Viene arrestato dall’NKVD, la polizia politica, il 22 agosto 1940 e rinchiuso nella prigione di Luck fino al 26 giugno 1941. Miracolosamente sfugge alla fucilazione di massa dei prigionieri da parte dei sovietici al sopraggiungere dell’esercito tedesco. Ferito, per lungo tempo giace privo di conoscenza sotto il cumulo di cadaveri dei prigionieri fucilati, finché non si riprende e non riesce ad uscirne a stento.
Nell’autunno del 1942, con l’aiuto delle suore benedettine, padre Vladislav organizza l’assistenza ai prigionieri russi. Ottiene il permesso dai tedeschi di poter celebrare anche per i prigionieri. Persino i non credenti accorrono alle sue celebrazioni in lingua russa.
Nella notte dal 3 al 4 gennaio 1945 padre Vladislav viene arrestato dagli agenti sovietici, tornati a dominare in quelle regioni. Il vescovo Adolf Šelenžkij e il sacerdote Karol Galenzovskij vengono arrestati e rinchiusi con lui nella prigione dell’NKVD a Kiev. L’Istruttoria si protrae fino al giugno 1945. Sono accusati di tradimento nei confronti del potere sovietico a favore del Vaticano e condannati a 10 anni di lager. Padre Vladislav viene trasferito al lager di Čeljabinsk, dove rimane per più di un anno impegnato nel taglio degli alberi. Nel novembre 1947 passa al lager di Bakal, negli Urali. In condizioni di estrema debolezza e gravemente ammalato di polmonite, viene ricoverato nell’infermeria del lager di Čeljabinsk. Nel 1950 si trova nel lager di Čžeskazgan, in Kazachstan, dove lavora in una miniera di rame 12 ore al giorno, a 300 metri di profondità, in un ambiente costantemente umido, alla temperatura di +4 gradi. I detenuti estraggono il rame con il piccone e lo trasportano in superficie su un carrello. La norma giornaliera per ogni persona è fissata a 12 tonnellate.
Padre Vladislav fa di tutto per celebrare la Santa Messa ogni giorno. Si sveglia molto presto, quando gli altri dormono, e celebra sul pancaccio. Di quando in quando visita gli ammalati nell’ospedale del lager e amministra loro i sacramenti. Nonostante la pesantezza della situazione, il padre non si lamenta mai di coloro che lo castigano o lo trattano male. Soltanto una volta parla di uno schiaffo sul volto ricevuto da una guardia, ma lui lo considera come un atto di misericordia, perché al posto dello schiaffo il sorvegliante avrebbe potuto metterlo in cella di rigore.
Dal 1951 al 1954 padre Vladislav si trova nello Steplag, un lager nelle steppe del Kazachstan. Liberato in seguito a un’amnistia dovuta alla morte di Stalin, è mandato al confino a Karaganda, sempre in Kazachstan. Qui trova altri sacerdoti usciti dal lager: il vescovo clandestino Aleksandr Chira, i padri Michael’ Stones, Aleksandr Štaub e Michael’ Bengas. Padre Vladislav, per preparare i fedeli ai sacramenti, visita clandestinamente il Kazachstan, l’Uzbekistan e il Tadžikistan. Riesce a costruire clandestinamente in Kazachstan una cappella per i polacchi al confino, che poi sarà chiusa dalle autorità comuniste. Su questo periodo rimane un suo scritto: «Spesso i sacerdoti mi domandano: come si può fare opera pastorale senza una chiesa? Io rispondo: si può. Nei 12 anni in cui ho lavorato in Kazachstan, soltanto per un anno ho potuto avere una cappella, gli altri 11 anni ho lavorato senza avere nessuna chiesa o casa di preghiera». I sacerdoti andavano di casa in casa, celebravano la liturgia nelle famiglie più fidate oppure radunavano la gente al cimitero; confessavano per ore, preparavano la gente al battesimo, alla prima Comunione e al matrimonio. Era un lavoro immane, perché la gente per decenni era stata privata della presenza di un sacerdote. I credenti avevano sparso la voce della presenza di sacerdoti cattolici a Karaganda e i cattolici arrivavano perfino da migliaia di chilometri di distanza.
Nel 1956 padre Bukovinskij è nuovamente arrestato e accusato «di aver svolto riunioni illegali di credenti cattolici negli anni 1954-1958 in appartamenti privati e in una casa di preghiera da lui organizzata nella città di Karaganda, riuscendo ad attirare una notevole quantità di giovani, fra i quali anche ragazzi di età scolare, ai quali infondeva il fanatismo religioso, sottraendo in questo modo la gioventù all’educazione comunista e alla partecipazione alla vita socio-politica del paese». Inoltre, «raccoglieva, conservava e diffondeva letteratura reazionaria di contenuto antisovietico». Padre Vladislav viene condannato a 3 anni di prigionia. Scontata la pena, il padre non si arrende, ma riprende il suo appassionato lavoro pastorale fra i tedeschi e i polacchi. Di questi anni ricorda: «La Provvidenza di Dio a volte opera anche attraverso gli atei, i quali mi hanno mandato da queste parti, dove era necessaria la presenza di un sacerdote. Già dal 1954 sapevo che mi aspettava un immenso lavoro apostolico».
Padre Vladislav Bukovinskij muore a Karaganda il 3 dicembre 1974 ed è sepolto presso le mura della Chiesa cattedrale. È iniziato il processo di beatificazione.
Giovanni Paolo II, nel corso della sua visita pastorale in Kazachstan, il 24 settembre 2001, ad Astana, durante l’omelia ha parlato di «…uno zelante sacerdote, il padre Wladisław Bukowiński, che durante i duri anni del comunismo ha continuato ad esercitare in quella città (Karaganda, ndr) il suo ministero sacerdotale. “Siamo stati ordinati non per risparmiarci – scriveva nelle sue memorie – ma, se è necessario, per dare la vita per le pecorelle di Cristo”. Io stesso ho avuto la fortuna di conoscerlo e di apprezzarne la fede profonda, la sapiente parola, l’incrollabile fiducia nella potenza di Dio. A lui e a tutti coloro che hanno consumato la vita fra stenti e persecuzioni intendo oggi rendere omaggio a nome di tutta la Chiesa».