BIDA OL’GA OLIMPIJA
(1903-1952) |
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suora greco-cattolica
(Congregazione di San Giuseppe) |
Ol’ga
nasce nel villaggio Cebliv, regione di Leopoli. Ancor giovane entra nel
monastero delle suore della Congregazione di San Giuseppe, che si trova
nel suo villaggio. Prende i voti con il nome di Olimpija e lavora nella
scuola, dedicandosi all’educazione cristiana delle ragazze nel villaggio
Žužel’. Nel 1938 è nominata superiora del monastero della città di Chyrov.
Nel 1939, con l’invasione dell’esercito sovietico nell’Ucraina Occidentale,
iniziano le repressioni in massa contro l’intelligencija del luogo. Le
monache vengono avvertite che per evitare l’arresto devono svestire l’abito
religioso e disperdersi in vari appartamenti. Durante l’occupazione tedesca,
con l’infuriare della fame, le suore si preoccupano di trovare i generi
alimentari necessari e di distribuirli ai più bisognosi. Al tempo stesso
organizzano momenti di preghiera comune.
Dopo l’unione della Ucraina occidentale con l’URSS, inizia il processo
di liquidazione della chiesa greco-cattolica e la deportazione in massa
della popolazione locale in Siberia, con l’accusa di aver sostenuto il
movimento nazionalistico. Suor Olimpia, assieme alle altre suore, organizza
una raccolta di viveri per le famiglie con bambini piccoli. Durante la
repressione, quando tutti i monasteri vengono chiusi, le suore del convento
di Chyrov decidono di passare alla clandestinità. La comunità monastica
e la parrocchia procurano segretamente alimenti al sacerdote greco cattolico
Taras Bobkovič, che era stato arrestato nel 1949. La vigilia di Natale
le suore preparano le prosfore (pane benedetto che può servire anche per
la celebrazione liturgica), che poi i bambini portano nelle case dei contadini
con l’augurio: «Vi preghiamo di accettare la prosfora che la Chiesa vi
dona e di mangiarla in onore della Natività di Cristo». A questo punto
l’NKVD incomincia a sorvegliare le suore, sottoponendole a frequenti perquisizioni
e invitandole ad andarsene. La chiesa greco-cattolica viene chiusa e le
suore frequentano la chiesa cattolica di rito latino nella vicina città
di Dobromil’.
Nel 1950 tutte le suore del monastero vengono arrestate mentre ritornano
dalla messa. Sono accusate di attività illegali e, in cambio della liberazione,
gli agenti propongono loro di passare alla Chiesa ortodossa. Le suore
rifiutano. Vengono liberate, ma dopo pochi giorni, mentre suor Olimpija
assieme alle altre suore ed un centinaio di fedeli pregano insieme al
cimitero, interviene la polizia. Suor Olimpija e le altre suore vengono
arrestate e trasportate direttamente nel lager di Borislav. Nel lager
le suore dormono sul pavimento, i primi dieci giorni non ricevono nulla
da mangiare e poi sono nutrite a pane e acqua. Il processo viene celebrato
il 18 marzo 1950. Suor Olimpia viene condannata al «confino perpetuo»
nella regione di Tomsk (Siberia) «per attività antisovietica e propaganda
religiosa». La stessa sorte tocca alle suore Lavrentija, Glikerija, Areta
e Makrina. Il 12 giugno 1950 le suore vengono caricate su vagoni merci
alla volta di Tomsk. Il viaggio dura due settimane. Da Tomsk a Čerkasov
vengono trasportate per nave. Qui si fermano quattro giorni, poi vengono
caricate su un motoscafo e finalmente scaricate a Charsk, nelle vicinanze
di un vero e proprio plesso di lager (il «SibULON»), dove i detenuti vivono
in condizioni insostenibili. Nel villaggio abitano invece i condannati
al confino. Le suore vengono collocate in una piccola casa e ogni giorno
portate al lavoro: d’inverno ad abbattere alberi e d’estate a tagliare
il fieno. Per ottenere il permesso di essere esonerati dal lavoro per
malattia, bisogna percorrere a piedi 12 chilometri per raggiungere l’infermeria
più vicina.
Suor Olimpija Bida muore di stenti il 28 gennaio 1952 a 49 anni. Dopo
sei mesi muore di tubercolosi suor Lavrentija. La terza, suor Glikerija,
percorre 80 chilometri a piedi per trovare un sacerdote greco-cattolico
al confino che possa celebrare una funzione in suffragio delle due consorelle
morte.
Suor Olimpija Bida viene beatificata il 27 giugno 2001 in occasione della
visita di papa Giovanni Paolo II in Ucraina.
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