A
un secolo di distanza dalla morte del grande pensatore russo
Vladimir Solov'ev, la tensione speculativa della sua
riflessione, volta a salvaguardare l'unità
dell'esperienza umana, disgregata dalla cultura moderna in
un "atomismo nella vita, nella scienza e nell'arte" e a
fondarla in un Assoluto, concepito come Unitotalità,
può facilmente essere liquidata come "metafisica
misticheggiante". E, ugualmente, sotto il nobile ma
"inoperante" appellativo di mistica, possono essere
semplicisticamente catalogate le affermazioni secondo cui
Dio si manifesta nel bene, nel vero e nella bellezza,
aspetti di un'unica realtà inconcepibili l'uno senza
l'altro. In realtà, il richiamo del maestro russo non
consiste semplicemente nella denuncia della dimenticanza di
Dio da parte del mondo contemporaneo, il suo aver sottratto
spazio alla fede per concederlo alla ragione filosofica e
quella scientifica. L'originalità di Solov'ev,
richiamata anche dal Papa, non risiede nell'attacco
"inattuale" alla scienza e alla filosofia in nome delle
esigenze dello spirito, ma nel mostrare che scienza e
filosofia, ponendosi in una prospettiva unilaterale,
ristrette nel proprio ambito incomunicabile, hanno abdicato
al proprio scopo e tradito la propria verità,
riducendo la conoscenza a un vuoto formalismo dal quale
scompaiono sia l'uomo, sia la realtà materiale. La
ragione non viene contestata dalla fede perché
avrebbe negato i diritti della fede, ma perché,
concependosi come misura del reale, ha finito col mancare a
se stessa e al proprio compito: quello di essere apertura al
reale secondo l'integralità dei suoi fattori. La
ragione occidentale moderna non viene quindi demonizzata ma
richiamata alla sua verità, a un'integralità
più concreta e visibile, meno utopica e più
creativa.
Relatori: card. G. Biffi, A. Judin, T. Spidlik, A.
Dell'Asta.
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